Montecatini Alumetal - Le due facce del progresso - Luoghi Fantasma

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Montecatini Alumetal - Le due facce del progresso

Luoghi Fantasma > Italia > Trentino Alto Adige
Provincia: Trento
Tipologia: Complesso industriale
Stato attuale: Mediocre
Periodo edificazione: 1927-1928
Periodo abbandono: 1983
Motivo abbandono: Fallimento
Accesso: Su strada
Modalità di visita: Con restrizioni
Il complesso della Montecatini-Alumetal è un pezzo di storia industriale d’Italia e la manifestazione di industrializzazione e progresso più importante che ci sia stata in Trentino.
Si trova nel territorio di Mori, nei pressi del fiume Adige; fu installato in un punto del famoso fiume caratterizzato da una pendenza elevata per poter sfruttare maggiormente l’energia idroelettrica utile alla struttura.
Come probabilmente il nome suggerisce, in questo impianto si lavorava l’alluminio, che richiede un tipo di lavorazione più complesso rispetto ad altri metalli industriali e, quando fu costruito, era senza dubbio all’avanguardia da qualsiasi punto di vista: la costruzione era con i più recenti e i migliori materiali, le tecnologie al suo interno erano di ultima generazione. Insomma, era il fiore all’occhiello del settore.
La fabbrica fu edificata intorno nel 1928 e fu un modello seguito in tutta Europa per decenni, al punto che anche l’organizzazione del lavoro fu presa come punto di riferimento nella maggior parte delle fabbriche del continente. Il suo impianto di depurazione fu un brevetto interno e non fu l’unico, così come impianti meccanici e sistemi di lavaggio delle polveri.
Inizialmente la costruzione fu uno sforzo congiunto con la tedesca “Vereinigte Aluminium Werke” e il binomio perdurò sino al 1930, quando l’azienda iniziò a correre come un treno per conto proprio.
C’è da dire che nonostante i suoi sforzi ei suoi brevetti, questo enorme complesso industriale, particolarmente bello esteticamente, determinò anche un inquinamento degno di nota; in due occasioni, sia negli anni ’30 sia negli anni ’60, si evidenziò un fenomeno conosciuto come “macchie blu”, causato dall’inquinamento da alluminio su tutto l’ecosistema, uomo compreso. Questa è stata senza dubbio la pagina peggiore che riguarda questa rinomata fabbrica.
Giacché ci troviamo negli anni ’30, non dobbiamo immaginare che l’organizzazione ottima del lavoro corrispondesse anche a condizioni di lavoro per gli operai eccellenti, anzi, questi lavoravano in condizioni al limite e i disagi e danni fisici erano notizia di tutti i giorni.
Durante il secondo conflitto mondiale la fabbrica fu assorbita dalla Fabbriguerra di Bologna per essere una di quelle che contribuiva alla costruzione di materiale bellico per conto dello Stato.
La sua produzione copriva le necessità delle truppe italiane e tedesche; l’importanza dei suoi operai fu tale che nessuno di loro fu chiamato alle armi e rimasero al loro posto, anzi, molti di loro furono aggiunti proprio in questo periodo e la fabbrica raggiunse il massimo numero di operai sforando oltre i 1200.

Ovviamente un luogo tanto strategico fu colpito dai nemici e il lavoro diminuì a causa della mancanza di alcune parti della fabbrica e di alcune infrastrutture utili a rifornire il proprio esercito; terminata la guerra iniziò il periodo complicato, poiché il personale fu ridotto sia per la minor quantità di materiale richiesto, sia anche per lo sviluppo di macchine industriale che rese inutili alcune mansioni.
Negli anni ’60 si affermarono i movimenti operai che fecero in modo che, nel 1958, la fabbrica fosse occupata in segno di protesta per le precarie condizioni di lavoro e i salari troppo bassi.
In seguito, l’azienda subì il duro colpo della statalizzazione dell’energia, poiché sino a quel momento, producendo per conto proprio l’elettricità, aveva dei costi talmente bassi da essere non incidenti per nulla sul bilancio; ma con l’ingresso dell’ENEL nel campo energetico, questi costi diventarono talmente elevati da mettere in discussione non solo l’esistenza di quest’azienda, ma anche di tantissime altre realtà industriali del paese.
La chiusura dell’azienda è fissata al 1983, questa comportò la chiusura di un’era per il Trentino e per l’industria italiana.
Questo complesso, che oggi è sentito come uno dei simboli dell’archeologia industriale, è un luogo assai sentito dalle persone del luogo. Non solo la struttura è bellissima, ma rappresenta la vita stessa di molte persone che vi hanno lavorato.
Lo stabile, a tal proposito, ha ottenuto il riconoscimento dell’interesse storico-artistico della legge n°1089 del 1939 inteso come bene paesaggistico - monumentale definito dall’art.94 della legge sull’urbanistica provinciale.
Inoltre, il luogo è molto usato come set per riprese e da fotografi professionisti e non; Marco Mengoni, di recente, ha girato uno dei suoi videoclip dal titolo “Guerriero”.
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Articolo: Fabio Di Bitonto

Foto: Barbara Tovazzi
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