Diga del Molare - Il colosso addormentato
Provincia: Genova/Alessandria
Tipologia: Diga
Stato attuale: Discreto
Periodo edificazione: 1917
Periodo abbandono: 1935
Motivo abbandono: Esondanzione
Accesso: Su sentiero
Modalità di visita: Con restrizioni
Tipologia: Diga
Stato attuale: Discreto
Periodo edificazione: 1917
Periodo abbandono: 1935
Motivo abbandono: Esondanzione
Accesso: Su sentiero
Modalità di visita: Con restrizioni
Alla fine del XIX secolo, l’ing. Luigi Zunini pubblicò uno studio sulla fattibilità di una serie di bacini idrici posti allo sfruttamento idropotabile dell’acqua di alcuni torrenti in valle Orba.
La valle Orba si trova al confine tra Piemonte e Liguria; i torrenti portano acqua verso i comuni in Piemonte ma nascono in Liguria.
L’uso di tali acque era destinato, secondo il progetto, agli abitanti dei comuni liguri, mentre gli abitanti dei comuni dell’Alessandrino come Molare ed Ovada, sarebbero stati danneggiati poiché le loro acque, utili per molteplici scopi, sarebbero state captate per l’immagazzinamento del bacino.
L’ingegnere, viste le proteste dei comuni alessandrini, decise di apportare delle modifiche affinché anche loro godessero di qualche beneficio e aggiunse dei generatori di corrente convertendo il bacino in bacino idroelettrico.
Il primo progetto ufficiale era datato 1898 e la diga sarebbe dovuta sorgere in località Ortiglieto, nel comune di Molare (AL); sarebbe stata alta 33 metri e non fu accolta con moltissimo entusiasmo dalle autorità del luogo.
Infatti, prima che la diga fosse costruita, passarono alcuni anni e la prima concessione fu ottenuta nel 1912; la concessione riguardava, però, soltanto la produzione di energia elettrica e non l’uso potabile delle acque. La concessione venne data poiché era necessaria maggiore corrente in vista della costruzione della ferrovia Ovada – Aqui terme.
Tale concessione decadde per ragioni non chiarissime oltre al fallimento del progetto ferroviario e le molte dispute fra le autorità locali e le società proponenti portarono ad uno stallo della situazione.
L’ing Zunini non fu estromesso dalle decisioni perché membro del consiglio di amministrazione della società O.E.G. (Officine Elettriche Genovesi) e ciò gli consentì di portare avanti il suo progetto quando, nel 1915, divenne presidente della suddetta società.
Nel frattempo il progetto, nel corso degli anni, subiva modifiche e la capacità del bacino fu notevolmente ampliata di anno in anno e l’altezza della diga stessa passò da 33 a 47 metri.
I lavori iniziarono nel 1917 ma a causa della prima guerra mondiale subirono notevoli rallentamenti a causa della mancanza di risorse economiche e alla difficoltà di reperire manodopera; i lavori ripresero a pieno regime nel 1922 e furono terminati nel 1925, anno in cui l’impianto entrò ufficialmente in funzione.
Dal sito www.molare.net ho preso i dati tecnici della diga definita come “opera configurata come diga a gravità ad andamento planoaltimetrico ad arco di cerchio (raggio circa 200 m): quota di massimo invaso 322 m s.l.m. quota coronamento 324,7 m s.l.m. altezza massima sul livello di magra circa 47 m n° 12 scaricatori superficiali o sifoni in cemento armato con portata complessiva di 500 mc/sec ad innesco automatico (sistema Heyn) e sezione rettangolare 2 x 3 m. L'innesco automatico avveniva a gruppi di 3 allorquando i livello superava quota 322 m; sfioratore di superficie a stramazzo in sponda destra (capacità 150 mc/sec ); scaricatore di fondo costiuito da un tubo di lamiera di ferro (diam. 1.80 m) posizionato nel centro della diga alla quota di 280 m e munito di valvola a farfalla (capacità 55 mc/sec); scaricatore semiprofondo con valvola a campana (quota 295.50 m) con portata di 150 mc/sec.”
La diga era posta in una zona disabitata e molto difficile da raggiungere e lo è tuttora.
Nell’estate del 1935 la siccità regnò per molto tempo e, pertanto, la società che gestiva la diga, ovvero la OEG, decise di fare dei tagli alla produzione di energia e di bloccare gli scarichi dell’acqua a valle.
Il giorno 13 agosto, di primo mattino, delle violentissime precipitazioni iniziarono ad abbattersi nella zona e, in meno di otto ore, caddero sulla zona almeno 400 mm di pioggia, un valore veramente elevato.
I fiumi si gonfiarono e in particolar modo l’Ortiglieto, fiume che forniva acqua alla diga; infatti, gli addetti ai lavori attivarono l’unico scaricatore attivabile ma purtroppo si intasò a causa della melma.
L’unica cosa che ebbero il tempo di fare gli operai fu quella di avvertire telefonicamente le autorità locali affinché provvedessero all’evacuzione della valle.
Alle 13.15 il bacino non riuscì più a contenere l’acqua e la prima diga, quella maggiore, resse all’impatto con l’acqua, ma la secondaria, quella posta nei pressi della Sella Zerbino, non resse e riversò a valle 30 milioni di metri cubi d’acqua, un muro poderoso di fango alto venti metri e largo due chilometri.
La cronaca dell’evento da wikipedia:
“A Molare l'acqua risparmiò il centro abitato: persero la vita tre persone, ma ingentissimi danni riguardarono la centrale elettrica, alcune cascine, gli argini artificiali e tutti i ponti, compreso quello della ferrovia Asti – Genova, sul quale pochi minuti prima era transitato un treno. Le località al confine con la città di Ovada (Le Ghiaie, Rebba, regione Carlovini, Monteggio, Geirino), a nord-est, furono in gran parte distrutte e l'ondata inghiottì in quella zona almeno venti persone e una settantina di case.
Alle ore 14 l'acqua raggiunse il paese più grande della zona, Ovada, che all'epoca sfiorava i 10.000 abitanti. Danneggiati i ponti San Paolo e della Veneta (che collega Ovada ad Alessandria mediante ferrovia), crollò il ponte che collegava piazza Castello al quartiere Borgo, che venne quasi completamente distrutto. Furono rase al suolo trentacinque abitazioni e perirono sessantacinque persone; successivamente l'Orba, alla confluenza con il fiume Stura, riversò in esso parte dell'esagerato carico, che andò a distruggere il ponte che collegava Ovada a Belforte Monferrato.
Dopo Ovada l'ondata colpì ancora i paesi di Silvano, Capriata (dove morirono quattro persone, tra cui il podestà) e Predosa, per poi riversarsi nel Bormida a Castellazzo. Con meno potenza furono allagati campi e abitazioni fino ad Alessandria; l'onda andò calmandosi dopo che, alle 14.30, la pioggia era cessata. Nel suo percorso aveva lasciato 111 morti e dispersi: i corpi di alcuni di questi furono trovati molti anni dopo.”
Il processo giudiziario negli anni successivi sancì che il terreno della zona non era adatto ad ospitare un diga; ciononostante la società declinò ogni responsabilità.
Al termine del processo tutti gli imputati furono assolti poiché la diga fu costruita secondo le norme vigenti all’epoca e la precipitazione giunta quel tragico giorno aveva carattere di eccezionalità.
I familiari delle vittime ebbero un risarcimento di 30.00 lire….
Dal quel disastro la diga giace immota stagliata su un paesaggio montano ma difficilmente riesce a confondersi fra le fronde degli alberi a causa della sua imponenza.
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Articolo: Fabio Di Bitonto
Foto: Fabio Marchisio
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